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Storia della zuppa inglese

L’Inghilterra non c’entra nulla: è un dolce in realtà italianissimo, nato tra Emilia e Toscana. Chiamato così perché in origine conteneva del rum, la bevanda dei marinai di sua maestà. Il merito? Di Vincenzo Agnoletti, credenziere della duchessa Maria Luisa alla corte di Parma.
Dopo il tiramisù, il dolce al cucchiaio italiano dalle origini più controverse è certamente la zuppa inglese. Lo avrete capito, l’Inghilterra non c’entra nulla o quasi: la zuppa inglese è un dolce italianissimo, particolarmente diffuso in Emilia-Romagna, in Toscana e nel resto del Centro Italia.
La classica ricetta per la preparazione della zuppa inglese prevede uno strato di pan di Spagna o savoiardi imbevuti di alchemers, uno di crema al cacao, un altro di pan di Spagna o savoiardi e alchemers e uno di crema pasticciera, con o senza gocce di cioccolato.

La pista ferrarese
A rivendicare la paternità della zuppa inglese è innanzitutto Ferrara. Si dice che il dolce nacque nel XVI secolo alla corte degli Estensi, come rielaborazione del trifle inglese, da cui il nome. Inizialmente i cuochi avrebbero sostituito la pasta di pane con la bracciatella, sorta di ciambellone. Poi, nel Settecento, arriverà il pan di Spagna. Che, a dispetto del nome, è di origine italo-francese e a sua volta si ispirava ai savoiardi, spesso utilizzati anch’essi proprio nella nostra zuppa inglese. A quell’epoca, poi, la crema pasticciera e il cioccolato avrebbero progressivamente sostituito la panna.

La governante di Firenze
Secondo un’altra tesi la zuppa inglese nacque nell’Ottocento in Toscana, per merito della governante di una famiglia inglese residente a Firenze. La donna avrebbe preparato una “zuppa” con i biscotti avanzati ammorbiditi nel vino dolce, aggiungendovi crema pasticciera e budino di cioccolato.

L’alchermes, ingrediente antico
Qual è la verità? Proviamo a indagare. Come nota Giovanni Ballarini, dell’Accademia italiana della cucina, la presenza dell’alchermes – e, in qualche caso, del rosolio – “supporta la tesi rinascimentale, perché sono entrambi di origine medievale. Gli infusi di fiori erano già di gran moda nel Basso Medioevo. L’alchemers, invece, è probabilmente successivo alla riapertura delle vie commerciali con gli Arabi, da cui si importava l’ingrediente che lo rende rosso: la cocciniglia (“al quermez”). Nel Rinascimento furono noti e molto usati, ma mantennero la loro importanza fino al 1800, soprattutto a Firenze”. Riecco dunque che torna in gioco la pista toscana. Rafforzata dalla diffusione dell’alchemers in tutto in Centro Italia, visibile ad esempio nella versione umbra delle frappe.

La distinzione dell’Artusi
A raffreddare questa pista però ci ha pensato Pellegrino Artusi, che nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, fa una distinzione tra la ricetta toscana e quella emiliana. “In Toscana – ove per ragione del clima ed anche perché colà hanno avvezzato così lo stomaco, a tutte le vivande si dà il carattere della leggerezza e l’impronta, dov’è possibile, della liquidità – la crema si fa molto sciolta, senza amido né farina e si usa servirla nelle tazze da caffè. Fatta in questo modo riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per la zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza”. Dunque l’Artusi sembra suggerire una differenza sostanziale tra la crema toscana e la zuppa inglese. Forse perché la Toscana è anche la terra della zuppa del duca, antico dolce senese che qualcuno vorrebbe addirittura come antenata del tiramisù oltre che della zuppa inglese.

La tesi del Ballarini
L’accademico Giovanni Ballarini suggerisce dunque di cercare le origini della zuppa inglese in Emilia. E, più precisamente, nella Parma di Maria Luisa d’Austria, all’inizio dell’Ottocento. Credenziere di corte era allora il romano Vincenzo Agnoletti. Che, magari sotto l’influenza di antiche ricette rinascimentali tosco-emiliane, mise a punto una “zuppa inglese” dove compariva tra gli ingredienti il rum, il tipico liquore dei marinai inglesi. Nella sua opera, il Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno (1832) si parla per l’appunto di “zuppa inglese”, da prepararsi “come il marangone”, ma con l’aggiunta di rum e una meringa come tocco finale, meringa, “candito d’uovo” o marmellata. E che cos’è il “marangone”? Ce lo spiega lo stesso Agnoletti. Si tratta di un antico dolce originario di Mantova, il “marangone alla mantuana”, che si preparava inzuppando i “biscotti delle monache” o il pan di Spagna nel vino o nel rosolio, e facendo vari strati intervallati da mandorle, pistacchi e canditi, con la copertura finale a base di glassa. “Oltre del vino e rosolio, si varia con tramezzare una crema, e qualche marmellata di frutti”.

Influenze granducali
La ricetta dell’Agnoletti ebbe molto successo, soprattutto in Emilia, ma è anche molto diversa da quella attuale, e il ruolo della crema appare ancora secondario. Ma potrebbe essersi via via rafforzato soprattutto sotto l‘influenza della crema utilizzata a Firenze e in Toscana (non la crema fiorentina, che è un gelato ed è tutt’altra cosa), magari non così “liquida” come lamentava l’Artusi. E con l’introduzione di un più “toscano” alchemers. La zuppa inglese, dunque, è una ricetta tosco-emiliana. Nata a Parma per merito di un cuoco romano che si è ispirato a un dolce lombardo, e poi è stata modificata sotto l’influenza di una più antica ricetta toscana. E con ingredienti nati dalla pasticceria italo-francese come il pan di Spagna (da Genova) e i savoiardi (dal Piemonte): insomma, più che una “zuppa inglese”, una “zuppa italiana“! Della zuppa inglese esistono, in realtà, numerosissime versioni: l’alternativa classica è quella tra savoiardi e pan di Spagna, ma anche tra alchemers, rosolio e rum; poi ci sono quelle che prevedono frutta, fragole soprattutto, come tocco finale in superficie; o perfino quelle con la ricotta.

fonte lacucinaitaliana.it

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