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Storia del panino

Le origini del panino sono molto antiche, le prime testimonianze risalgono addirittura a 7000 anni fa, se consideriamo la tortilla un antenato del panino. Gli scavi nella Valle de Tehuacán, nello Stato di Puebla a est di Città del Messico lasciano intuire che fosse già diffusa nell’alimentazione delle civiltà precolombiane.
Scopriamo che pane e companatico risulta essere un connubio che affonda le radici nella notte dei tempi, forse addirittura quando nasce il pane stesso.
Un’abitudine gastronomica viva e diffusa in ogni angolo d’Italia. Un itinerario del gusto potenzialmente infinito, che racconta l’anima più antica della sapienza artigianale tramandata nei decenni dall’instancabile lavoro dei chioschetti, dei baracchini, dei carretti, e che svela i cuori pulsanti delle tante tradizioni italiane.

Una storia che sembri inizi letterariamente con Diogene di Sinope, il celebre “Cinico” greco, il quale rigettando la sontuosità delle mense imbandite di cibi raffinati, ci viene spesso descritto nell’atto di mangiare le lenticchie nella parte cava di un pezzo di pane.

Fu però a Roma che si sarebbe diffusa l’usanza cittadina di consumare il pane con qualcos’altro in mezzo. Quella che oggi è chiamata via Panisperna, infatti, deve il proprio nome al Panis ac perna, panini al mosto e prosciutto cotto nell’acqua di fichi secchi, molto graditi alla folla di persone che dovevano provvedere alla questione cibo e rifocillarsi senza perdere troppo tempo.

Ecco dunque la nascita del fast food ante litteram, dove fast implica la fruizione rapida e pratica delle specialità espresse, sfornate a richiesta dalle “cucine di strada”. E il pane, caratterizzato da impasti diversi a seconda della regione, fa da epicentro attorno a cui ruota tuttora il panorama dello street food all’italiana.

Vale la pena adesso richiamare alla mente l’epoca rinascimentale. Il testo è “La singolar Dottrina” di Domenico Romoli nel quale sono contenute interessanti ricette, tra cui spicca quella di un gustosissimo panino cinquecentesco, preparato con strisce di lardo adagiate su singole fette di pane. Secondo le indicazioni date dal Romoli, le fette venivano poste sotto la selvaggina che cuoceva allo spiedo. I succhi di cottura della carne, colando lentamente, conferivano al pane un sapore robusto.

Sarà però un Conte del XVIII sec. a lasciare una traccia indelebile nella storia della cultura del panino: Lord Sandwich che volle gli fosse preparato un cibo rapido, pratico e gustoso. Giocatore di carte incallito, trovava difficile abbandonare il tavolo da gioco per recarsi a pranzo. Si fece così preparare due fette di pane imburrato contenenti una fetta d’arrosto di carne, in sostituzione dell’ingombrante piatto di portata. Nasce in questo modo l’antesignano del sandwich, anche se il famoso tramezzino Club Sandwich verrà creato negli Stati Uniti nell’Ottocento, diffondendosi rapidamente in particolare negli scompartimenti dei treni. I passeggeri fanno lunghi viaggi e hanno bisogno di pasti nutrienti e allo stesso tempo pratici.

Fu a metà ‘800 che in Inghilterra si diffuse pure la pratica dei “tea sandwiches”, piccoli tramezzini creati per la duchessa di Bedford.
Parlare di questo argomento fa venire fame, soprattutto se ci si riferisce al Club Sandwich, il più celebre degli eredi dell’antenato londinese. Quest’ultimo nasce nei circoli privati degli Stati Uniti dell’Ottocento, e si diffonde in particolare negli scompartimenti ferroviari dei treni che percorrono l’East Coast. Qui i viaggiatori compiono lunghissime traversate insieme, giocano e mangiano. E bisogna ringraziare la loro golosità se la versione originale dello spuntino britannico comincia ad arricchirsi, a crescere in altezza e a contemplare più farciture. Il “Club” diventa così il “break” alla moda per eccellenza, e qualche anno più tardi di nuovo attraversa l’Atlantico per entrare a far parte dei raffinati menu dei grand hotel parigini. E infatti, se è vero che oggi è possibile gustarlo un po’ in tutto il mondo, è altrettanto vero che i più prelibati sono quelli del bar dell’Hotel Ritz di Parigi, dove alcuni dei nomi più famosi del bel mondo fra le due guerre, uno fra tutti Ernest Hemingway, ne erano i più affezionati estimatori.
Nel corso del ‘900 in Italia, a livello culturale, il ruolo del panino ha assunto vesti sempre diverse, anche se fino a poco tempo fa era relegato ai margini della dieta mediterranea, perché considerato sempre e solo un pasto “di ripiego”.

A livello storico il panino italiano nasce a inizio ‘900 e Alberto Cougnet è il primo a distinguere fra sandwich e panini “gravidi”, inserendo questi ultimi in un ricettario. All’epoca il sandwich era borghese e aristocratico per antipasti, buffet, picnic, viaggi, mentre il panino, variato da città a città, era cibo per lavoratori e gente qualunque.

Il “sapere del pane”, come lo definisce lo storico Massimo Montanari, rappresentava nei suoi passaggi della coltivazione del grano, della raccolta delle spighe e della preparazione della farina. Nell’antica Roma consumare una pagnotta “bianca” significava essere un abitante della città, con tutti i diritti che questo status portava con sé. Ed è proprio qui, come già accennato, che sembra essere nata l’usanza di consumare il pane con qualcos’altro in mezzo.

Se nel Manifesto della Cucina Futurista, dove si auspicava l’abolizione di forchetta e coltello e la creazione di “bocconi simultanei e cangianti”, trovava posto anche l’italianizzazione del termine sandwich, qui chiamato “traidue”, vuol dire che già negli anni Trenta lo si annovera nell’elenco delle preferenze gastronomiche del Belpaese.

Nell’Italia del boom, della Cinquecento e delle prime gite fuoriporta domenicali che segnano uno dei riti degli anni Sessanta, il panino diventa l’emblema del pranzo al sacco, farcito magari di cotoletta o frittata, istantanea gastronomica di una nazione che sta cambiando anche nelle scelte compiute a tavola.

Bisogna aspettare gli anni Settanta e la nascita delle paninoteche perché le due fette di pane con “dentro qualcosa” diventino l’epicentro di esperienze sociali, momenti di ritrovo e aggregazione soprattutto per le nuove generazioni.

Mentre negli anni Ottanta il panino diventa – e siamo già fuori strada rispetto all’esperienza più tradizionalmente italiana del panino – soprattutto “fast food”, con molto spazio concesso alla praticità e a mode importate dall’America e scarsa attenzione nei confronti del gusto e della originalità delle proposte. Una china che porta il panino sempre più lontano dai territori del gusto e del buon mangiare all’italiana.

Il panino all’italiana si caratterizza infatti nelle seguenti modalità:
sia al mattino, ora di pranzo o pomeriggio il panino in versione grande o più piccola è sempre un grande classico per fermare la fame con qualcosa di sfizioso. Lo possiamo trovare in diverse versioni: classico, ripieno di prosciutto, crudo o cotto, o con la mortadella, con l’aggiunta di mozzarella o altri formaggi, di pomodoro e con una foglia di insalata, ripieno con la porchetta oppure nelle versioni più sofisticate, con salsa di gamberi, gamberetti, salmone, al tartufo e o sott’oli o sott’aceti. Il panino all’italiana è diventato un cibo che ha conquistato tutto il mondo.
Con il suo pane fragrante o morbido, dalle versioni più semplici, ma golose, a quelle più elaborate e gourmet, il panino all’italiana soddisfa tutti i gusti e tutte le esigenze. Pratico, facile e veloce da preparare e da mangiare, ma molto più sano del classico fast food, e soprattutto economico, il panino italiano è per tutti. È solo la storia più recente, dell’ultimo decennio, infatti, a sancire la promozione del panino a vice-pasto a tutti gli effetti, grazie anche alla differenziazione delle offerte nelle vetrine dei banconi dei bar e all’innalzamento degli standard di qualità.


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Sono più di due miliardi e mezzo le persone che nel mondo ogni giorno si rifocillano, per uno spuntino o per un pasto vero e proprio, con le proposte  del mangiare locale, mantenendo ben saldo il filo conduttore tra i sapori del passato e quelli del futuro. Ed è così, dunque, che parlando di piacere racchiuso tra due fette di pane, non è poi difficile imbattersi, a Osaka come a San Paolo, nello street food sotto forma di panino, declinato a seconda del gusto e delle usanze della sua terra d’origine.

La tradizione del cibo di strada si estende, sin dall’antichità, in tutti quei Paesi il cui clima temperato e la natura delle relazioni sociali ne hanno consentito la produzione e la commercializzazione. Non solo in Italia, dunque, ma un po’ ovunque a nord e a sud dell’Equatore, a sinistra come a destra di Greenwich.

In Francia a farla da padrona in fatto panini è ” la baguette”, raffinata protagonista dei panini alla francese. In circa cento centimetri di crosta fragrante e soffice mollica trovano posto i più svariati accostamenti. Sicuramente l’abbinamento prosciutto cotto e formaggio groviera è uno dei matrimoni più riusciti fra quelli che si possono celebrare negli alveoli profumati della sua candida mollica. Senza dimenticare che sia l’abbinamento carni affettate, prosciutto jabugo, erbe fini e dragoncello, che semplicemente prosciutto adagiato su un velo di burro possono diventare delle merende gourmet davvero interessanti.

Parigi, segnaliamo il Croque Monsieur, che agli inizi del Novecento, nei listini di alcuni prestigiosi café comincia a comparire, un toast imbottito di prosciutto e formaggio (emmental o groviera), molto simile a quelli che ci facciamo noi tutti i giorni; e il panino ha un successo clamoroso, finendo per venir citato nel 1919 anche da Marcel Proust in All’ombra delle fanciulle in fiore, secondo volume di Alla ricerca del tempo perduto. Ignota è l’origine del nome del sandwich (anche se croquer significa “sgranocchiare”), mentre sono ben note le numerose variazioni: una versione più forte prevede besciamella o altro formaggio fuso anche sull’esterno della fetta superiore del toast, mentre è celebre anche il Croque Madame, che sulla medesima fetta pone un uovo all’occhio di bue; infine le variazioni si sprecano quando si esce da Parigi, col Croque provenzale (col pomodoro), col Croque hawaiano (con fette d’ananas), col Croque Señor(con salsa di pomodoro)e col Croque norvegese (con salmone affumicato).

Peculiarità della cucina provenzale sono semplicità e mediterraneità, terra e mare in un connubio pieno di gusto. Questa è una cucina caratterizzata da pietanze profumate e aromatizzate dalla variegata tipologia di erbe che crescono in questo fortunato spicchio di Francia. E il pan bagnat è una delle tipicità più ghiotte. Quello che rappresenta spesso il pranzo estivo per eccellenza è composto da una baguette spaccata a metà e insaporita con una strofinata di aglio, ammorbidita da una leggerissima spruzzata di aceto e abbondante olio extra vergine d’oliva, sale e pepe. L’imbottitura non è altro che una generosa porzione della tipica insalata nizzarda.

Delizia made in Turchia è il Kebab, ormai gettonatissimo street food un po’ in tutto il mondo grazie ai milioni di immigrati arabi e turchi che hanno proposto agli stranieri quest’autentica . Anche se nonostante le origini, è Berlino la capitale più rinomata per il prezzo e la qualità dei sui “doner”, preparati nei numerosi “imbiss”, cioè chioschi, turchi sparsi per la città.

Doner Kebab, kebab che gira, è così chiamato per il girarrosto verticale su cui viene infilzata e posta ad arrostire la carne (esclusivamente di agnello e manzo, montone o pollo). Questa viene tagliata a fettine, marinata in un misto di spezie ed erbe aromatiche mediterranee sagomata e infilzata nello spiedo. Una volta cotta al punto giusto, infatti, la carne viene tagliata in fettine verticali seguendo un movimento che va dal basso verso l’alto per evitare che il grasso sciolto coli via, per essere quindi utilizzata come imbottitura del pane, accompagnata a piacere da verdure miste e varie salse.

Sulle spiagge dell’Egeo è possibile sbocconcellare passeggiando, le specialità della tradizione gastronomica greca. Dentro alla pita, il tipico pane ellenico, vengono serviti i cosiddetti souvlakia, tipici spiedini cotti ai ferri composti da carne e verdure e spesso accompagnati da pomodori e tzatziki. Una variante è costituita dal gyros pita, a base di kebab.

Quando si parla di hot dog tedesco bisogna sgombrare il campo dall’immagine made in USA del panino imbottito delle partite di football. In realtà la versione “deutch” del celebre e succulento spuntino famoso ormai in tutto il mondo è nettamente diversa: per gli ambulanti di Monaco e dintorni non esiste il “panino con wurstel”, bensì il “wurstel con panino”, nel senso che la salsiccia viene servita in mano avvolta in un tovagliolo, con a parte, in un piccolo vassoio di cartone, un panino in accompagnamento, che nove volte su dieci è di dimensioni molto più piccole del suo companatico. Severamente proibita la maionese: via libera solo alla senape.

Nei Paesi Bassi la corrispondente specialità olandese si chiama kroket, che è il secondo snack più venduto in assoluto per una media di 18 kroketten a persona ogni anno. Trattasi di crocchette fritte e fatte o di patate e pangrattato (aardappelkroket), o di carne mista (vleescroket), o di pesce (viskroket), o di pollo (kipkroket), o di verdura (groentekroket), o di formaggio (kaaskroket), o di pasta o riso (pastakroket e ristkroket), generalmente accompagnate da senape e servite, appunto, come goloso ripieno di un panino.

Nel nord Europa scandinavo si prediligono i gusti affumicati, sulle tavole domestiche o nei numerosi milk bar e smorrebrodforetninger, è presente una ricca antologia di panini legati alle tipicità locali. Qui il panino viene identificato nello smorrebred, un capolavoro mignon a detta di molti scrigno di tutti i sapori danesi. Si tratta infatti di una sorta di panino aperto in cui il pane di segale tipico di queste zone viene sormontato da più strati sovrapposti di danablu, formaggio tipico piccante,di carne affumicata e leverpostef (patè di fegato), per non parlare di salsiccia, anguilla affumicata, aringa, salmone, caviale, filetti di trota, pollame freddo.

Il galateo dello smorrebred, che in genere costituisce il pranzo “al volo” dei danesi, esige, coltello e forchetta. Ma soprattutto è buona norma abbandonare lo stile francese e non lesinare su varietà e quantità del prelibato mix a copertura della fetta di pane. Tra un assaggio di questo accattivante “grattacielo” e un sorso di birra ecco venir fuori boccone dopo boccone tutto il gusto di Copenaghen.

In Brasile, per strada e in spiaggia, si possono gustare ad esempio i pao de queijo, palline di pane leggero al formaggio, tipiche della zona di Minas Gerais, che altro non sono se non gustosi bocconcini realizzati con un impasto di farina di manioca acida, formaggio grattugiato, uova, olio di soia, acqua e sale, cotti in forno per una ventina di minuti e gustati rigorosamente caldi, per la prima colazione o uno spuntino.

Gli Stati Uniti non sono la patria di nascita del sandwich ma sicuramente patria d’adozione, perché lì il panino è stato assunto a stile di vita oltre che alimento principale di una dieta non certo ipocalorica. E il panino base della cucina americana – se si eccettuano i fast food – è probabilmente lo Sloppy Joe: due fette di pane da hamburger, carne macinata, cipolla e ketchup. Ovviamente, sulla ricetta base si innestano una miriade di variazioni: nel sud degli States spesso lo si condisce anche con peperoni e sedano, nella versione “super” lo si guarnisce anche con pomodori a fette, sottaceti e paprica, altrove lo si riempie perfino con le patate. Creato, pare, negli anni ’50 in Iowa, è in realtà nato come una variazione del Loose Meat Sandwich, semplicemente aggiungendoci il ketchup: da qui l’aggettivo sloppy, che significa “umido”, “brodoso”.

Nella cucina tex mex il panino si declina nelle mille creazioni a base di tortilla. Questa sorta di piadina a base di farina di mais cotta sulla piastra fa da contenitore agli accostamenti più insoliti e stravaganti. Se i tacos sono tortillas ripiegate su se stesse e ripiene di carne, spesso di manzo, i burritos sono invece farciti con carne mista di bovino, pollo, maiale, e vengono serviti arrotolati su se stessi a formare un cannolo più o meno straripante di farcia. Quindi ci sono le quesadillas, la tortilla versione arrotolata diffusa nel New Mexico e caratterizzata da un ripieno di formaggio e verdure, oltre che tostadas, chimichangas e altre saporite e variopinte variazioni sul tema.

Nel Sol Levante non manca una variegata offerta di cibo veloce, pratico, destinato a quell’esercito instancabile di lavoratori orientali, per i cinque minuti dedicati al pasto veloce. E accanto a yakitori (spiedini di pollo alla griglia), takoiaki (polipo alla griglia) per i giapponesi ci sono le “allettanti” offerte dei Conbini, abbreviazione di Convenience Store letto alla giapponese. Si tratta di immensi drugstore aperti 24 ore su 24 dov’è possibile trovare ogni tipo di cibo già cucinato e confezionato in modo impeccabile, fino, manco a dirlo, alle molteplici letture oriental-style del panino. Da quello con la Soba, al Tamago-sandwich con le uova, fino al celebre Katsusando. Quest’ultimo, non è altro che un tramezzino ripieno, appunto, di fette di filetto di maiale impanato e fritto, adagiate su un letto di lattuga e poste tra due fette di pane imburrate.

In Estremo oriente, poco noto da noi, ma piuttosto diffuso anche nei paesi francofoni e di grande immigrazione  è  il vietnamita Bánh Mì. Il termine, in realtà, di per sé indica semplicemente il pane introdotto dai francesi durante il dominio coloniale di quella zona, pane che altro non è che una variazione della celebre baguette transalpina, nella quale viene semplicemente fatta incorporare più aria, rendendo la crosta più sottile e morbida; ma in Occidente l’espressione è ormai usata per identificare i sandwich che con questo pane vengono preparati, solitamente riempiti di carne grigliata (pancetta, salsiccia e vari altri tagli del maiale), elementi tipici della cucina vietnamita come carote sottaceto, salsa di pesce e coriandolo ed elementi di origine francese come il pâté di fegato di maiale e la maionese. Anche in questo caso, comunque, le variazioni sono pressoché infinite: esistono, solo per citare le più famose, la versione vegetariana col tofu al posto del maiale (spesso venduta davanti ai templi buddisti prima delle funzioni) e due famose versioni “da colazione”, la prima con le uova strapazzate dentro alla baguette e la seconda con un uovo all’occhio di bue accompagnato da cipolla e salsa di soia.


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In breve:

L’origine dell’hot dog. Il nome hot dog (cane caldo) deriva da quello dei würstel, chiamati per la loro forma “salsicce bassotto”. I primi hot dog risalgono agli anni ’90 dell’800.

l panino degli antichi romani. Il panino più antico del mondo? Panis ac perna, ossia pane e prosciutto, non c’è dubbio. Gli abitanti della Roma imperiale ne erano così ghiotti, che la via dei mercati urbani era tutta un pigia pigia di salumai. Moltissimi anni dopo, a questo spuntino fu dedicata addirittura una strada della Capitale, via Panisperna. Merito delle suore Clarisse che per secoli, nella vicina chiesa di San Lorenzo, ogni 10 agosto ne distribuivano ai poveri qualche boccone.

I più antichi. Pane e companatico sono probabilmente compagni fin dai primi tentativi di panificazione umani. Secondo Arturo Warman, uno dei più celebri antropologi messicani, la tortilla (nella foto), semplice impasto di farina di mais e acqua, ha almeno 7.000 anni d’età. Lo si può dedurre dagli scavi nella Valle de Tehuacán, nello Stato di Puebla a est di Città del Messico. In India le prime testimonianze del roti, la cialda di pane asiatica, risalgono al 2.000 avanti Cristo. Ma le testimonianze del panino vero e proprio risalgono a epoca romana.

Il pane accompagnato al companatico è una costante della storia dell’uomo senza distinzione di razza, etnia e origine geografica. Di derivazione maya e atzeca ci sono tortilla, burrito e taco. Ci sono poi i piatti di pane africani (come l’injera etiopica) e la pita mediorientale, che in decine di variazioni ha conquistato Turchia, Grecia, Balcani, Israele e Palestina, divenendo comodo involucro per döner kebab, souvlaki, gyro o falafel. Pita viene dal greco bizantino: significa torta e ha almeno 1.700 anni. Ancora più antico il roti indiano: se ne trova traccia in testi di 2 mila anni fa in sanscrito. Allo stesso filone appartiene la piadina romagnola, anche se compare con questo nome in una ricetta soltanto nel 1371.

Antenato ebraico. Il panino, però, è ben altra cosa. Tra gli antenati più illustri, a parte il panis ac perna romano, c’è una ricetta del I secolo d. C. ideata dal rabbino Hiller l’Anziano (qui rappresentato in un’illustrazione dei giorni nostri), che mise fra due fette di pane azzimo l’agnello pasquale e le erbe amare della tradizione, per simboleggiare gli Ebrei schiacciati dal giogo egizio.

Il primo vero nome. Fino al 1762 il panino non aveva un vero nome: si chiamava pane e formaggio, pane e arrosto, pane etc. L’inatteso battesimo del panino spettò all’inglese John Montagu, quarto conte di Sandwich, esploratore e accanito giocatore di carte. Storia vuole che, inchiodato al tavolo da gioco del Beef Steak Club di Londra, il nobiluomo avesse ordinato a un cameriere di portargli qualche fetta di carne in mezzo a due fette di pane tostato, poiché non voleva mollare le carte per andare al ristorante. La cosa in sé non aveva nulla di straordinario, ma da quel momento tutti gli altri soci del club presero a chiedere “lo stesso di Sandwich”. E da qui a ordinare semplicemente “un sandwich” ci volle meno di un boccone.

Gli Stati Uniti detengono il record del numero maggiore di spuntini famosi. Il primo hamburger, ancor privo di pagnotta, apparve già nel 1826. Oltre 60 anni dopo nasceranno i moderni hot dog, poi i club sandwich (1894), il submarine sandwich (1901), il Monte Cristo (1910) e così via, ma l’hamburger nel pane divenne celebre in tutto il mondo solo nel 1931 grazie a J. Wellington Wimpy, più noto in Italia come Poldo Sbaffini, amico di Popeye, Braccio di Ferro, creato dal disegnatore E. C. Segar.

Panini imbottiti esistono anche in Cina e in Estremo Oriente, su antica ispirazione occidentale. Si chiamano bing e somigliano alle crescentine o tigelle modenesi oppure alle crêpes francesi: sono farciti con varie salse tipiche e carne d’anatra, di maiale, oppure con semplice olio e cipolla (il cong you bing, nella foto mentre viene preparato). Ne esiste una versione coreana, il jian bing guozi, molto più simile a una piadina, ripieno d’uovo fritto o pesce.

Comunque lo si voglia chiamare, oggi è il cibo da strada per eccellenza in ogni punto del globo. In Sudafrica va forte il Gatsby, una baguette con carne o salsiccia, insalata, formaggio e patatine fritte, mentre la specialità australiana è il Sausage Sizzle, un vero e proprio sandwich di pancarré con salsiccia di manzo e pollo assieme a salse varie. Persino l’Africa mediterranea ha i suoi panini e non soltanto le sue sfoglie. In Tunisia è notissimo il Tuna Baguette: tonno, uova sode, succo di limone, olive nere e harissa, un salsa piccante. Il podio per il panino più originale lo conquista lo shark & bake, che si trova senza difficoltà nei chioschi di Trinidad e Tobago: pane e squalo fritto.

Ma agli occhi internazionali, però, non scherziamo neppure noi italiani! Celeberrimi sono i nostri spuntini a base di frattaglie: due esempi sono il panino col lampredotto fiorentino, uno dei quattro stomaci bovini (l’abomaso), e il palermitano pani ca meusa (nella foto), imbottito con milza e polmone di vitello. Ma non si possono scordare u morzeddu di Catanzaro (interiora di vitello in salsa piccante), il marchigiano panino con le spuntature (budellina di vitello da latte) e l’ormai raro pan co’ grifi aretino, che prevede un’imbottitura con le parti magre e callose del muso di vacca chianina, il reggino panino ca frittula diffuso a Reggio Calabria e provincia.

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fonti:
taccuinigastrosofici.it
focus
la cucina italiana